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Jobs Act e dimissioni dal lavoro, convalida per quelle sospese

Per comunicare le dimissioni dal lavoro e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, occorre registrarsi al sito www.cliclavoro.it e richiedere il Pin all’Inps.

In alternativa, ci si può rivolgere a soggetti abilitati: patronati, sindacati, enti bilaterali e commissioni di certificazioni. A stabilirlo è il decreto ministeriale 15 dicembre 2015, pubblicato sulla gazzetta ufficiale n. 7 dell’11 gennaio 2016 che approva il modulo per dimissioni e risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro, gli standard e le regole tecniche per la compilazione e trasmissione al datore di lavoro e alla direzione territoriale del lavoro, in attuazione della riforma del Jobs Act. L’operatività delle nuove regole è fissata dal 12 marzo 2016, cioè per le dimissioni e risoluzioni consensuali presentate a partire da tale data.

La depenalizzazione di alcuni reati (ora illeciti civili o amministrativi)

Lo scorso 15 gennaio il Governo ha adottato due decreti legislativi, il n.7 ed il n.8, per depenalizzare alcuni reati e trasformarli in illeciti civili o amministrativi. Questo vuol dire che alcune condotte che finora avevano una rilevanza penale avranno solo conseguenze civili (eventuale risarcimento del danno disposto dal giudice civile, più una sanzione pecuniaria) o amministrative (versamento di una sanzione pecuniaria all’autorità competente più eventuali sanzioni accessorie).

I due decreti legislativi sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n.17 del 22 gennaio 2016 e sono in vigore dal 6 febbraio. Il Governo ha approvato questi due decreti legislativi in applicazione di quanto disposto dalla delega del Parlamento (Legge n.67 del 28 aprile 2014). Lo scopo di questa riforma è quello di alleggerire le aule dei tribunali penali, soprattutto in considerazione della “lievità” dei reati che sono stati depenalizzati e della esiguità della pena che, per lo più, ne conseguiva. Da una parte, infatti, alcune condotte non sono più percepite come offensive (cioè gravi, pericolose…) e, dall’altra, per ogni reato è prevista una griglia in base alla quale il giudice, alla luce delle circostanze di fatto ed alla persona del reo (è la prima volta che commette un reato? è un recidivo? ecc.), deve modulare la pena.

Facciamo l’esempio dell’ingiuria, oggi depenalizzata dal decreto legislativo n.7 del 2016. Il codice penale regolava questo reato all’art.594. Secondo il primo comma “Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516”. Ebbene , la pena poteva essere, alternativamente, quella della reclusione(la privazione della libertà) o quella del versamento di una somma di denaro. Peraltro, la pena – sia quella detentiva che quella pecuniaria – erano previste “fino” ad un limite: la pena detentiva poteva essere inflitta anche per un periodo inferiore ai sei mesi. Se a questo si aggiunge che, a certe condizioni, per i reati puniti con la reclusione fino a due anni è possibile disporre la sospensione condizionale della pena (non si va in prigione), è evidente che per il reato di ingiuria pochissimi – forse in passato – siano mai andati in prigione.

Tutto ciò senza contare che, data la mole che incombe sulle procure (gli uffici giudiziari presso cui lavorano i pubblici ministeri, cioè i magistrati incaricati di perseguire i reati ed effettuare le indagini preliminari) e sui tribunali penali, spesso i reati cadono in prescrizione prima che si arrivi ad una sentenza definitiva (il reato si estingue per prescrizione, cioè non è più perseguibile dopo il decorso di un tot di tempo perché non è ammissibile che nessuno resti “sotto processo” tutta la vita).

Insomma, la legge prende atto della realtà e, piuttosto che far prescrivere un reato o celebrare faticosamente un processo penale per arrivare ad infliggere una sanzione pecuniaria, la competenza – la mole di lavoro – viene spostata sui tribunali civili e sulle autorità amministrative.

La speranza, cioè, è di alleggerire un po’ i tribunali penali affinché i giudici si possono occupare di questioni più gravi. Tutto ciò ha un senso, sebbene si fondi sull’immaginifico presupposto che i tribunali civili e le autorità amministrative siano meno oberati dei tribunali penali e/o più efficienti.

La nuova certificazione unica. Obblighi dei sostituti d’imposta

L’Agenzia delle Entrate ha sdoppiato la Certificazione Unica 2016: da una parte, un modello di CU cosiddetto “ordinario”, cioè completo di tutti campi, vecchi e nuovi; dall’altra, un modello CU cosiddetto “sintetico” che rappresenta un “di cui” del modello ordinario, cioè riporta solo una parte dei campi e delle informazioni contenuti nel modello ordinario.

Il primo, dovrà essere trasmesso telematicamente, entro il 7 marzo 2016, all’Agenzia delle Entrate, ed è il modello che eredita tutte le informazioni e i campi eliminati dal modello 770 Semplificato.

Il secondo, dovrà essere consegnato, a cura del datore di lavoro, direttamente al lavoratore interessato entro il 28 febbraio 2016, stampato su carta in doppia copia o reso disponibile in formato elettronico (esempio, inviato a mezzo e-mail in formato digitale).

Dunque, per avere una visione complessiva dei dati contenuti nella CU 2016 è sempre necessario visualizzare o stampare il modello ordinario.

Con la stessa logica già in uso negli scorsi anni tra CUD e 770 Semplificato, il modello CU ordinario e quello sintetico rispettano la stessa numerazione dei campi; le caselle presenti in tutte e due i modelli sono riconoscibili, osservando il modello ordinario, attraverso il tratteggio del contorno delle caselle.

Lo Studio Iodice è a disposizione per approfondimenti dettagliati e per soluzioni applicative.

Ad maiora

dott. Gaetano Iodice